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Sermo Civilis

La cura etica della memoria

26 giugno ore 18.00

Sermo Civilis. La cura etica della memoria. Riappropriazione del passato in un presente storico proiettato verso la costruzione vigile e premurosa del nostro e dell'altrui futuro
Di Aniello Montano.
Praticare la cura etica della memoria significa addolcire i caratteri, rafforzare le dighe contro l'individualismo cieco e senza freni.
Significa incrementare la consapevolezza che più uomini uniti da un medesimo progetto e operanti per la realizzazione degli stessi fini possono vivere meglio e conseguire maggiori successi.
L'uomo è certamente animale sociale, non so se per natura (come vorrebbe Aristotele) o per necessità (come sostiene Hobbes). Ha bisogno, cioè, per ogni sua «impresa», di soci, di alleati, di persone che, condividendo il suo stesso progetto, operino insieme a lui, che si identifichino con lui.
Qualora questo processo di «identificazione» non nascesse a partire da una comune matrice storica, qualora gli uomini delle piccole e delle grandi «patrie», o della grandissima «patria» che è l'umanità, non trovassero ragioni culturali, motivi di fede e di speranza comuni, allora il processo d'identificazione aggregante troverebbe come collante gli egoismi di alcuni avversi agli egoismi degli altri e con essi contrastanti.
È quello che si sta verificando in molti paesi in cui i ceti o i gruppi più ricchi avversano i meno agiati. Li scacciano, li perseguitano, li espellono o non li accolgono. Ed è qui, in questi egoismi incentrati sui privilegi, che va individuata la matrice emozionale, poi travestita da matrice etnica, di tanti separatismi e secessionismi attivi in molti paesi del globo.
In un mondo in cui il «bellum omnium contra omnes», la guerra di tutti contro tutti, si presenta sempre più come la norma generale ispirante i comportamenti umani, coltivare la memoria storica, il culto della intelligenza disinteressata, significa mantenere accesa la fiaccola della speranza. Significa confidare nella possibilità che gli uomini possano trovare ragioni comuni di convivenza, di collaborazione, di amicizia per realizzare fini comuni.
Il rapporto tra la città (intesa come piccola o grande patria) e il cittadino è simile al rapporto tra due soggetti.
Ognuno dei due si costituisce e assume un senso a partire dall'altro.
Ognuno, nel rapportarsi all'altro, lo costituisce e ne viene costituito. Si "inventano" reciprocamente.
Laddove l'uso del verbo "inventare" potrebbe essere considerato in due modi, entrambi ricavabili dal latino invenio, che può significare "cercare-trovare" oppure "inventare", dare un senso a un evento a partire da sé.
Città e cittadino sono l'una l'invenzione dell'altro e viceversa. Nell'espressione "l'invenzione dell'altro", il genitivo può essere letto come genitivo soggettivo, nel senso cioè che io, in quanto cittadino, invento l'altro, cioè la città; o come genitivo oggettivo, nel senso che l'altro, la città, mi inventa, dandomi un senso.
Di fatto, i cittadini sono quelli che la città, con il suo ambiente naturale e il suo carico di tradizioni storico-culturale, li ha fatto e li va facendo, ma anche la città è quella che la cura, l'attenzione, l'amore dei cittadini hanno consentito che sia. L'amore per la città, per la sua storia, per le sue tradizioni, per i suoi monumenti, oltre ad essere un dovere-piacere per i singoli cittadini, è anche un modo per costituire la città stessa. 
La raccolta di piccoli saggi vuole essere una testimonianza di quest'impegno a curare la memoria storica, a riflettere su questioni che riguardano la civilitas umana, sul farsi stesso dell'uomo attraverso i rapporti sociali, la creazione delle istituzioni - il matrimonio, le forme delle attività politica, culturale, produttiva - e il ruolo svolto dalla donna all'interno di esse. 
La cura etica della memoria, la costruzione dell'etica pubblica, si realizza anche nel ripensamento di figure e momenti rappresentativi di mutamenti civili e politici fondamentali nella storia di una nazione e nella ricostruzione storica delle lotte e dei sacrifici sopportati da alcuni per realizzare per tutti una patria comune: una, libera, democratica, regolatrice dei diritti e dei doveri dei cittadini.
E si esercita altresì nel riflettere storicamente sulla condizione umana, sul suo disperare del finito, sulla sua tensione a voler andare oltre i limiti naturali dell'esistenza umana, sull'autonomia del soggetto a decidere di sé, pur nella consapevolezza di essere parte di un insieme e di avere precise responsabilità nei confronti degli altri.
Il tutto in modo semplice, ma non semplicistico, all'insegna della morale, ma non del moralismo, con alcuni approfondimenti teorici, senza scadere nel teoreticismo e con un'apertura all'intrinseca religiosità dell'animo umano, senza chiudersi in dogmi e precetti di religioni positive, gerarchicamente strutturate e impegnate nel mondo come potenze politiche.
Si tratta, come si può avvertire di un sermo civilis, distinto tanto da quello aulicus che da quello familiaris, un discorso fatto per cittadini comuni, al di qua della cerchia degli addottrinati  e oltre quella dei partecipanti alla nostra quotidianità familiare e amicale.

 
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