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Pensieri e Parole

con un pò di fantasia... articoli - lettera per il Giro d'Italia

Io, come una piccola minoranza attiva del Belpaese, amo la bicicletta. E amo le scampagnate nel verde in sella alle mie due ruote, dove l'unica sfida che mi attende è quella tra me e lo sforzo fisico che mi separa dal traguardo finale: la quiete. Fermare la mia bicicletta sul cavalletto in acciaio, appoggiarla sul ciglio della strada senza dover ricordare antifurti e chiavi, e allontanarmi quanto basta per godermi il panorama, accompagnato dalla tensione gioiosa dei muscoli che pedalando ivi mi ci hanno portato.
 
La mia è una fuga, una fuga per la vittoria della tappa della mia vita, quella verso la libertà: la libertà dalle prigioni che ci siamo costruiti, che hanno carceri fatte di lamiere colorate cui, ormai per consuetudine, diamo erroneamente il sinonimo di libertà. Ma che in realtà ci dominano. Sono le automobili contro le quali abbiamo perso la nostra sfida, perché sono loro a popolare le nostre strade, sono i loro rumori a sovrastare le nostre voci, sono i loro gas di scarico che ci colorano le giornate, ed è con la loro aggressività che ci impongono di cambiare.
 
Le strade, un tempo progettate e costruite a misura d'uomo, adesso sono concepite su misura per le automobili. Agli altri utenti della strada, siccome minoranza silenziosa e rispettosa, restano le briciole. E le nanoparticelle prodotte dagli altri: quelle sì in abbondanza per tutti. Le piste ciclabili sono troppo spesso un utopia nelle nostre città metropolitane. Se decidi di rischiare un giro in città in sella alla bicicletta hai bisogno di coraggio e buona sorte: è come se si inaugurasse la stagione della caccia alle specie in via d'estinzione.
I padroni della strada alla vista di un ciclista restano spiazzati, non sanno come reagire all'intralcio di queste due ruote non motorizzate, capace addirittura di muoversi senza alcuna combustione.

In preda al nervosismo allora sfoderano le loro armi preferite: la prima è il clacson, un messaggio in codice per avvertire gli altri automobilisti che la preda è sua; la seconda è il sorpasso, per generare umiliazione e magari invidia, perché fatto con il minimo sforzo fisico-celebrale; la terza arma, il colpo di grazia, è inondare i polmoni del ciclista di gas di scarico, per far conoscere anche all'alieno su due ruote il frutto prelibato della nostra civiltà. Ad alcuni dopo lezioni del genere non resta altro che la conversione, perché è la selezione innaturale delle nostre città che lo impone. Il darwinismo sociale applicato alle città moderne.

E allora io fuggo, in quanto minoranza indesiderata, perché nelle nostre città non c'è spazio per tutti. Appena ho l'occasione fuggo, volentieri fuggo, pedalando verso il colle più isolato, verso la spiaggia più incontaminata, verso il bosco meno conosciuto. E lascio voi a soccombere nella tristezza delle vostre prigioni in lamiera inquinanti e rumorose. Lascio voi a lottare per un parcheggio a pagamento, o per un assicurazione furto e incendio. Tanto son certo che mi raggiungerete, prima o poi, e la mia speranza è che portiate solamente le due ruote, un manubrio e la borraccia con voi.
 
 

Alessandro Ingegno


Trofeo Arturo Lepori (1923 - 1964)

La corsa del romanitico campione dove Baldini preparò la vittoria olimpica

un gruppo di ciclisti di preparano alla partenza di una gara

Fu l'onda di immensa commozione popolare ad indurre gli appassionati casoriani di ciclismo ad organizzare il primo Trofeo Arturo Lepori. Era il 1922, si correva la Coppa Caivano; altre strade: sterrate, polverose, con le righe fatte di gesso. Nel territorio del comune di S. Maria Capua Vetere, la giovane promessa del ciclismo campano Arturo Lepori era impegnato su un falsopiano a recuperare un leggero svantaggio da alcuni fuggitivi. Confusione, concitazione ma soprattutto polvere, ancora polvere, quasi una nebbia che rende tutto invisibile, tranne la fatica.

Certo non lo avvertì; il passaggio accanto a se di una ammiraglia che in accelerazione era tesa a raggiungere chi era davanti a lui, troppa era la concentrazione. Ma Lepori non poteva immaginare che dentro a quella nuvola di polvere ci fosse per lui l'ultimo istante, la morte. In senso opposto sopraggiungeva un carro trainato da un bue, fu l'animale ad ucciderlo, trafiggendolo con una delle sue corna.

Un anno dopo, nel luglio del 1923, prese il via il Trofeo. 170 i chilometri con partenza ed arrivo da Casoria, luogo di nascita di Lepori, che per l'occasione si mobilitava come per una festa di paese. Una corsa di media difficoltà con le ascese dei "Gradilli", presso il belvedere di S. Leucio (Caserta) e di Roccamonfina che negli anni seppe guadagnarsi il titolo di Tappa del Campionato Nazionale Dilettanti.

Una corsa che visse il suo momento d'oro negli anni cinquanta del secolo scorso, quando le fu attribuito il valore di prova internazionale, vedendo tra i partecipanti tanti ciclisti che di lì a pochi anni seppero guadagnarsi la gloria tra i professionisti. È il caso di Livio Trapè, vincitore del Lepori nel 1959, e medaglia d'Oro nella 100 Km a squadre alle Olimpiadi di Roma del 1960 e medaglia d'Argento nella prova su strada.

Ad Ercole Baldini invece il trionfo nel Lepori fu addirittura foriero di una indimenticabile affermazione, la medaglia d'Oro nella prova su strada alle Olimpiadi di Melbourne (Australia) nel 1956. Proprio prima di partire per l'avventura nell'altro emisfero, il 18 luglio del 1956, Ercole Baldini tagliò per primo il traguardo di Casoria. Chissà che non fu proprio la salitella dei Gradilli, poco più di tre chilometri al 5% di pendenza media, a favorirlo nell'ultima breve ascesa nella capitale australiana, donandogli una vittoria storica quanto inaspettata. Tanto che alla premiazione gli organizzatori stentarono a trovare il disco con l'inno di Mameli.

Anche altri campioni seppero anticipare sulle strade a nord di Napoli la loro gloria da professionisti: Diego Ronchini, Campione italiano nel 1959, vinse il Trofeo Lepori nel 1955; Benito Romagnoli, vittorioso a Casoria nel '54 fu presente al Giro d'Italia dal 1956 al '59; di Eraldo Bocci, primo del 1963.

Organizzato in grande stile fino a metà degli anni sessanta il Trofeo Arturo Lepori si è corso fino al 1975, fino a perdersi perché nella cittadina a nord di Napoli scemò l'interesse per la faticosa arte del pedale in luogo di un altro sport: quello della pedata, il calcio. Ma questa è un'altra storia.

Paolo Borzillo

 
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