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San Giovanni a Carbonara

ampio scalone di chiesa
scalone della chiesa di S. Giovanni a Carbonara

A Napoli, per la natura del suo sottosuolo, si è sempre scavato per estrarre il tufo e tutti materiali idonei all'edilizia come sabbia, pozzolana e lapilli. I vuoti, così ricavati, non furono mai abbandonati, ma utilizzati come cisterne pluviali o come cisterne collegate ad acquedotti; c'è sempre stata, quindi, acqua fluente sotto Napoli, che poteva essere attinta dai pozzi esistenti in ogni abitazione.

Tre furono gli acquedotti che scorrevano sotto la città: l'Acquedotto della Bolla, di origine greca, l'Acquedotto Augusteo, romano e l'Acquedotto del Carmignano del 1600. Questi tre acquedotti, che si intersecano e si scambiano le acque, hanno costituito una rete fittissima di cunicoli e cisterne che coinvolge tutti i palazzi costruiti fino al 1885, anno in cui, a causa di una pestilenza, fu costruito l'acquedotto a pressione, che mandò in pensione quelli ad acqua fluente.
 
Nel 1885 si poteva scendere in uno dei 4628 pozzi e percorrere, nel sottosuolo, la città in lungo e in largo da Santa Caterina a Formiello a Monte di Dio, dai Ponti Rossi a Capo Misero, da San Giovanni a Carbonara alla Sanità. Molti conquistatori, per impadronirsi della città di Napoli, pensarono di tagliare i suoi acquedotti: per esempio, nel 537 Belisario, comandante dell'esercito di Giustiniano, nella campagna d'Italia contro i Goti, giunto a Napoli, nascose un intero reggimento di cavalleria nella grotta degli Sportiglioni, sotto Capodichino, egli si accampò di fronte alla porta di Santa Sofia, oggi via San Giovanni a Carbonara.

Anche Belisario tagliò gli acquedotti esclamando, secondo il Melisurgo: "... questi napoletani li faremo rendere per sete." Il caso volle, però, che un soldato, Isauro, inoltratosi lungo un cunicolo dell'antico acquedotto delle Bolla, dopo pochi metri, rivide la luce da sotto un pozzo; risali lungo la canna, usando le tacche dei pozzari, e si trovò al centro della guarnigione che presidiava la Porta di Santa Sofia.

Lungo la stessa canna salirono, di notte, alcuni soldati di Belisario, sopraffecero le guardie e aprirono le porte, permettendo alle truppe di conquistare la città. Nel 1442 le truppe di Alfonso I d'Aragona, comandate da Diomede Carafa, si accamparono allo stesso posto. Alfonso I, uomo colto, aveva letto di Belisario, e perciò diede mandato al Carafa di trovare questo accesso.
 
Il Carafa contattò due pozzari, Aniello Ferraro e Roberto Esposito, che lo condussero nella casa di "mastro Citiello cosetore", un sarto che con la moglie "donna Ciccarella" ed i figli "Elena e Leone" abitava proprio di fronte alla porta di Santa Sofia, dove oggi sorge la scuola Bovio e dove allora c'era, proprio sotto la casa del sarto, un pozzo. Questa volta entrarono i marinai di Alfonso I: essi furono chiamati perchè più esperti di corde e scalette. Fu cosi che, per la seconda volta, la città di Napoli fu presa con lo stesso espediente.

Cambiano i luoghi ma restano i cunicoli, i pozzi e le antiche cisterne, queste ultime ampliate, durante la seconda guerra mondiale, per essere adattate a ricoveri.