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S21

Mostra fotografica di Roberto Arcangeli
S21 è diventato, oggi, il luogo più visitato della Cambogia. Del centro di sterminio che ho personalmente conosciuto quindici anni fa, deserto, tropicale e ancora pieno di sangue a terra, è rimasto ben poco. Oggi decine di pulmini fanno sbarcare turisti venuti da ogni parte del mondo per visitare, nelle quattro palazzine e alla velocità della luce, quella che fu l'immagine più folle e terrificante del genocidio cambogiano, degli anni di Pol Pot. Alcuni di loro vengono addirittura con i figli, bambini di 7 o 8 anni, per vedere l'insopportabile; centinaia di turisti in short con le macchine al collo, che, quasi, corrono nelle sale e tra i piani, per immortalare quella che sarebbe la Memoria. La gente piange, un'ora, e poi va via: tutto dimenticato quasi per sempre, poi si passa a un'attrazione diversa. Così va la vita, oggi a S21. Tutto questo per dire quanto è difficile, oggi, fotografare quel luogo, in una marea di immagini che girano sul web o nei cataloghi turistici. Non si tratta tanto di fotografare S21 a livello estetico perché giustamente S21 ha un difetto: è estetico e molto. Una sorta di estetismo della morte, il tutto perfetto, che ha la capacità di trasformare una fotografia banale in una, quasi, opera d'arte, piuttosto che rendere con l'immagine la vera funzione di S21, che è solo una: un luogo di morte, di sterminio, agghiacciante e terribile. Il luogo simbolo della memoria di un paese e di una nazione intera.
È proprio questo che mi ha colpito nel lavoro di Roberto Arcangeli. È riuscito a mostrare S21 per quello che è realmente e quello che dovrebbe essere per tutti noi. Ovviamente con l'occhio di un fotografo vero, con la sua sensibilità artistica e non con quella di un storico o di un giornalista. Nelle fotografie di Roberto si legge la paura e l'orrore e nient'altro. Le inquadrature, spesso non accademiche, e a volte la mancanza di dettagli, di "pulito", rafforzano questo sentimento di paura. Non ci sono mezzi toni per descrivere quel posto e Roberto ha saputo togliere quel lato estetico per raccontare, con la forza delle immagine, la vera identità di S21. Le fotografie sono pure, senza compromessi, dirette: tutto come il prigioniero che entrava lì per la prima volta e non poteva immaginare quello che c'era dietro le mura di una semplice scuola di Phnom Penh. Non c'era niente, proprio nulla, solo la morte ad aspettarlo, un giorno, un mese, massimo un anno, ma solo la morte accompagnata da torture come finale alla vita.

Nicolas Pascarel
Presidente di Fotoasia | Photo Workshop in South East Asia e Cuba
 
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